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Ricerca scientifica
Non è un embrione umano quello costruito su un chip di cui si sta molto parlando in questi giorni sui media: si tratta invece di cellule staminali embrionali che sono state indotte a organizzarsi e svilupparsi analogamente a un embrione grazie a una procedura estremamente innovativa, illustrata in un articolo pubblicato sulla rivista scientificaNature Methods, e che porta la prima firma di un giovane italiano, Andrea Manfrin, ora a Losanna dopo un master in Biotecnologie mediche all’Università di Padova.
È stato messo a punto un modo di imitare gli “ordini” che consentono all’embrione di svilupparsi, differenziando le cellule iniziali – tutte uguali – nei tre diversi tipi di “foglietti” che poi daranno origine all’intero essere umano, in tutti i suoi organi, tessuti e cellule. Per potersi sviluppare in tutte le sue parti, infatti, il nostro organismo, quando è ancora allo stato embrionale iniziale, indifferenziato, segue le “indicazioni” di sostanze chiamate “morfogeni”, che potremmo pensare come “nutrienti speciali”: si tratta di fattori di crescita che debbono arrivare all’embrione in dosi e tempi giusti, per poterlo far continuare a crescere, differenziandosi. Il lavoro di Manfrin e dei suoi colleghi è consistito in un’opera di microingegneria: il chip è il supporto utilizzato per costruire i tanti microcanali nei quali far fluire in modo controllato i liquidi contenenti i morfogeni, governando il loro arrivo alle staminali, cercando quindi di riprodurre i “segnali” naturali necessari allo sviluppo embrionale.
Una colonia di cellule staminali embrionali
In altre parole, potremmo considerarla una auto-organizzazione cellulare guidata artificialmente, grazie ai fluidi che contengono i morfogeni: scorrono nella rete di canali miniaturizzati sul chip, che ne permettono un elevatissimo controllo delle modalità di somministrazione alle cellule, sia nelle concentrazioni che nei tempi. Le staminali così “istruite” hanno potuto procedere nel loro sviluppo, del tutto analogo a quello di un embrione, pur non riproducendo un embrione umano. L’obiettivo è riuscire a ingegnerizzare in laboratorio organi e tessuti umani: siamo solo all’inizio, ma la metodica sembra promettente.
Al momento il problema etico riguarda la fonte delle staminali embrionali, superabile se si potessero utilizzare staminali pluripotenti indotte (quelle del premio Nobel Shinya Yamanaka, derivate da staminali adulte), o almeno staminali da linee cellulari già esistenti, senza dover ricorrere alla distruzione di altri embrioni.