Chi è il prete-coraggio che condivide il dolore (e la speranza) degli ultimi delle “periferie”

Livorno dà la “Canaviglia”, una delle sue onorificenze più importanti, a don Gigi Zoppi a 93 anni: un salesiano che ha vissuto al fianco di tossicodipendenti, malati di Aids e migranti. Con una idea: offrire una “famiglia” (e un senso) anche a chi ha perso tutto

di Mauro Zucchelli

L’ho visto la prima volta alla guida di una comunità di recupero che accoglieva chi ha problemi di abuso e dipendenza dalle sostanze stupefacenti: appena una spanna fuori da Parrana San Martino, lì dov’era la vecchia chiesa ottocentesca, abbarbicato a uno sperone così come loro volevano starsene abbarbicati alla vita. Nonostante, mi pare di ricordare, franasse la terra sotto i loro piedi: la chiesa aveva smesso di essere chiesa per via del dissesto del terreno: la vulnerabilità geologica sembrava quasi il simbolo di altri tipi di fragilità che stanno nel sottosuolo di ciascuno di noi.

Lui il prete non faceva nulla per atteggiarsi a guru come da copione per tipi del genere. Ma quel bellissimo volto proletario, ancor più “pasoliniano” di quello di Pasolini – scavato dal bisogno di condividere i guai altrui – non poteva lasciare indifferenti. Qualcosa di ben differente da Vincenzo Muccioli, che con la sua San Patrignano andava per la maggiore; qualcosa di diverso anche da don Mario Picchi, che era il sacerdote-guida di questa galassia di comunità targate “Ceis” della quale Parrana faceva parte; qualcosa di diverso anche dall’identikit umano delle comunità laiche che stavano sorgendo un po’ ovunque.

“Lui” si chiamava Luigi e di cognome faceva Zoppi: per tutti era semplicemente “don Gigi”, nessuno sapeva che «nella mia famiglia, una vera comunità contadina di 15 persone, mi chiamavano Rino». Gliel’avevano dato in ricordo di mamma Rina. Il motivo: la madre «era partita per il cielo» in quell’ospedale di Firenze «la notte di S. Lorenzo del 1931, la stessa della mia nascita». Tornerà a essere Luigi al momento di entrare  nell’aspirantato salesiano in Casentino: anche stavolta era un nome di famiglia, l’aveva preso dal nonno.

Adesso che ha sulle spalle quasi 93 anni la “sua” Livorno ha deciso di rendergli onore: il sindaco Luca Salvetti gli assegna martedì 19 marzo la “Canaviglia”, una onorificenza che la città tributa ai suoi figli migliori. Per esser precisi: è – dice il Comune di Livorno dandone l’annuncio – il «riconoscimento dell’attività di persone, enti, associazioni che abbiano contribuito a dare impulso e vitalità alla città, attraverso la loro personale virtù e dedizione». La data, che casualmente coincide con il 42° anniversario della visita di papa Wojtyla a Livorno, è in realtà il “compleanno” di Livorno, che si è vista “certificare” ufficialmente l’elevazione al rango di città proprio in un 19 marzo di 418 anni fa.

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