Uomini e donne di speranza

Quello a cui ha assistito il mondo il 7 ottobre scorso è stato qualcosa di unico e di terribile. Ha generato angoscia negli ebrei di tutto il mondo e, naturalmente, anche negli ebrei italiani. Consideriamo che, anche tra gli ebrei italiani, qualcuno ha perduto, in quel modo orribile, persone care, mentre altri hanno visto parenti immediatamente mandati al fronte di guerra. Questo pesa enormemente e peserà per molto tempo ancora. Però nella nostra città, nonostante il dolore inesprimibile, entrambe le comunità ebraica e cristiana non hanno rinunciato ad incontrarsi, proseguendo la tradizione promossa ogni anno a partire dal 1990 della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, col proposito di imparare a guardarsi con cuore disarmato, riconoscendo lo strettissimo legame tra le due comunità di fede.

L’incontro è iniziato con un momento di preghiera davanti alla Sinagoga, dove alla presenza del Rabbino Avrham Dayan e del Vescovo di Livorno Simone Giusti, è stato letto in diverse lingue il Salmo 72, cui è seguita l’accensione della Kannukkia.

Quindi i presenti si sono recati nel salone della Comunità ebraica per una riflessione dialogata. Quest’anno il tema oggetto di riflessione presenta nel titolo le parole che Dio rivolge al profeta Ezechiele “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?”, contenuto nel brano in ebraico di Ez 37, 1-14.

Il Rabbino nel suo intervento ha introdotto la vicenda profetica di Ezechiele iniziata nel 593-592 a.C. lungo uno dei canali di Babilonia, dove da cinque anni egli viveva come esule, in seguito alla prima deportazione eseguita dagli occupanti babilonesi in Israele nel 597-596 a.C. Lungo quel canale irriguo il Signore, in una maestosa visione, lo aveva chiamato a una missione di giudizio. Spazzando via tutte le illusioni degli Ebrei esuli a Babilonia e di quelli rimasti ancora a Gerusalemme, il profeta nei primi 24 capitoli del suo libro aveva dovuto annunziare il crollo irrevocabile del regno di Giuda. Quando questo evento accade, nel 586 a.C., la missione di Ezechiele subisce una svolta radicale. È quello che appare nei capitoli 33-39, ove si colloca appunto la visione degli scheletri aridi che riprendono vita.

Il capitolo 37 è proprio il momento in cui la riflessione ebraica si domanda se la visione di Ezechiele sia una parabola o una profezia. Nel Talmud di Gerusalemme Rav Eliazer vede una realizzazione della profezia con i corpi che riprendono vita su quella distesa di ossa inaridite e i morti resuscitati ritornano a Gerusalemme per poi dar luogo alle generazioni future. Nel Talmud Babilonese viene invece rilevato l’aspetto profetico con 2000 anni di esilio, dove l’uomo vive senza forza. Anche oggi in questo difficile periodo l’uomo si sente un insieme di ossa secche, non perché sia morto, ma perché non ha speranza o attesa del domani. Dobbiamo invece trovare nella nostra vita la speranza che fa tornare a vivere noi stessi e gli altri e questo sarà segno della presenza del Signore.

Il Pastore battista Thomas Hagen ha sottolineato la bellezza della visione di Ezechiele che rivela come la fede nel Signore che riporta l’uomo a nuova vita. Il campo desolato come nella prima creazione manifesta come il Signore rende possibile l’impossibile. E’ lo Spirito a far vivere non solo il popolo fedele al patto ma si estende a tutta l’umanità. Anche oggi noi come Ezechiele dobbiamo essere capaci di profetizzare e essere i primi ad avere speranza in una società di pace e di fratellanza. Se siamo capaci di amare le ossa inaridite torneranno a vivere e non possiamo delegare nessuno perché siamo fratelli, sorelle e figli dell’unico Padre.

A chiusura il Direttore del CeDoMEI diacono Andrea Zargani, nel ringraziare i presenti, ha invitato a camminare insieme e a condividere le gioie e il dolore per superare anche i momenti più bui e lo Spirito darà spazio alla speranza restituendo all’uomo l’integrità del suo essere.

 guarda le foto dell’incontro, scattate da Antonluca Moschetti 

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