Questi sono giorni di sofferenza. I nostri cuori sono feriti da questa pandemia che si sta diffondendo subdola e incerta. Fa tremare e ci lascia ammutoliti l’energia con cui si insinua anche in chi è in prima linea e lotta con abnegazione per arginarla. Rimaniamo stupiti e addolorati di fronte a tante persone decedute. Con numeri impressionanti in alcune comunità, che vedono morire in un solo giorno così tante persone quante quelle che lasciano la vita terrena in un mese o addirittura in un anno. E come ci lasciano! Sole senza poter contare sul calore di una stretta di mano al capezzale, senza uno sguardo che rincuora, senza una preghiera, in loro presenza, che li accompagna dalla vita alla morte. Una morte in solitudine, alla presenza del solo personale sanitario inerme e ferito nell’anima, senza una presenza fisica di un parente su cui contare nell’ora del distacco! E ancora senza neppure un degno funerale! Colpiscono profondamente le immagini dei camion dell’Esercito transitare in colonna, in una insolita processione, come una “marcia funebre”, ripieni di bare che troveranno ospitalità in altre terre generose, perché i loro luoghi di appartenenza non hanno più posto, neppure per la cremazione! Stare in casa è l’imperativo categorico. Un sostare obbligato, pieno di inquietudine, ma indispensabile per il bene di noi e per il bene degli altri. Abbiamo il dovere di “soffrire con chi soffre” e nel nostro silenzio pensare a questo “inferno” che ci attraversa insidioso e feroce. Ciascuno preghi a suo modo, preghi con insistenza (perché il pregare – il chiedere- appartiene a tutti a chi ha fede in Dio e a chi ha fede nell’umanita’, non esiste persona che non senta il bisogno di pregare, di chiedere!) e pregando ognuno porti, con il proprio pensiero, conforto e sia un balsamo nei tanti che piangono e hanno esaurito perfino le lacrime da versare. Ecco viviamo il dolore nel dolore. È un momento di grande prova! Di umana pietà!