L’incontro dei Cooperatori Paolini a san Ferdinando

Finalmente con l’allentamento del Covid sono ripresi in presenza gli incontri dei Cooperatori Paolini. L’occasione è stata offerta dal cammino di preparazione alle celebrazioni Pasquali e pertanto presso la Parrocchia di san Ferdinando, frate Silvestro Bejan da Roma, ha tenuto una riflessione molto agganciata alla realtà attuale che potremmo definire: “Tutto viene compiuto per pura idolatria”

Leggendo infatti il noto brano del 1Libro dei Re al capitolo 21, abbiamo il racconto drammatico di un omicidio per motivi economici e politici. Il re Acab che bramava la vigna di Nabot suo vicino, pur di impossessarsene, dopo il suo netto rifiuto, lo fa assassinare in un’apparente legalità, attraverso la messinscena di un falso processo giudiziario.

Sant’Ambrogio nel commentare questo episodio scrive: “La storia di Nabot è antica per età, ma nel costume è quotidiana. Quale ricco infatti, non desidera avidamente i beni altrui? Chi è mai contento di quello che ha?” Questa storia infatti pur avendo tremila anni  è attualissima, si ripete tutti i giorni, fuori ma anche nelle nostre case, quindi tra noi. Se consideriamo che per Nabot la vigna rappresenta “l’eredità dei padri” perché attraverso loro l’ha ricevuta in dono da Dio, ecco che vive la sua relazione con la propria vigna alla luce della relazione stessa con Dio. Dalla relazione con Dio dipende dunque anche il nostro modo di relazionarci con i beni, con la giustizia con le strutture economiche della società. Se a Dio sostituiamo un idolo tutto cambia: anche i beni diventano un idolo e l’idolatria ci rende schiavi della nostra stessa brama di possesso e genera prepotenza, ingiustizia, violenza proprio come il personaggio Acab. Ciò che lo amareggiava infatti non è tanto il non possedere un bene che desidera, ma il constatare che pur essendo un re, c’è qualcuno che può opporsi alla sua volontà di potenza, c’è un limite alla sua presa di dominio; il suo potere è limitato. Comportandosi come un bambino capriccioso, accetta il suggerimento della moglie di inscenare un processo con la falsa accusa a Naboth di aver maledetto Dio e il re, cui segue  la punizione della lapidazione. Utilizza la fede per piegarla ai suoi fini e infrange quattro comandamenti del decalogo: non desiderare la roba d’altri, non dire falsa testimonianza, non rubare, non uccidere; e tutto questo è frutto dell’idolatria. Quando dopo la morte di Nabot sembra calare il sipario, come sembrano concludersi tante storie cui oggi ancora assistiamo,vediamo che entra Dio in scena attraverso Elia, il suo profeta il quale interviene solo per svelare e denunciare l’ingiustizia e l’idolatria. Dal profeta Elia possiamo imparare oggi una cosa molto importante: la sua grande libertà e dobbiamo ricordare le parole di Gesù quando nel vangelo di Giovanni esclama; “la verità ci rende sempre liberi”.

Dio non può tollerare il male e se la sua parola può non venire ascoltata, egli ascolta sempre la voce del sangue innocente che non può rimanere indifferente e interviene per ristabilire la giustizia. Il castigo di Dio è espresso con immagini forti ma non dobbiamo guardare a Lui come assetato di vendetta e di punizione. La parola di Dio interviene sempre per svelarci la dinamica perversa che violenza crea sempre altra violenza e ci ricorda che l’unico modo per interrompere la catena della violenza è la confessione del proprio peccato, è la conversione della vita, è il deporre la propria volontà di potenza per lasciarsi raggiungere dalla giustizia e dalla misericordia di Dio. E’ indispensabile però che ci sia un profeta come Elia, che in questa spirale del male, sia in grado di pronunciare con libertà, con franchezza, senza paura, anche di fronte a chi detiene il potere, la parola di Dio, l’unica parola che è in grado di spezzare la catena del male. Gesù nel Vangelo ci dice di amare i nostri nemici. L’amore va imparato dal Padre che fa piovere e sorgere il sole su tutti, senza alcuna distinzione, senza alcun merito. Gesù insiste ridicolizzando il nostro atteggiamento: “ se amiamo le persone che ci amano cosa facciamo di staordinario?”,Al discepolo è chiesta dunque la perfezione del Padre che ama senza limiti, che accoglie senza distinzioni e che cura ogni essere vivente.