Diocesi
L’intervista al diacono permanente
Dei diaconi che trentanni fa hanno iniziato il loro servizio Paolo Bencreati è quello più giovane, essendo nato nel 1956, ed è un livornese doc. Paolo è sposato da quarantanni con Tina che pur avendo subito quattro cesari e due aborti spontanei ha messo al mondo ben cinque figli, due maschi e tre femmine. Dal punto di vista del lavoro ha iniziato facendo lavoretti vari, specialmente di manutenzione, ma la parte più consistente l’ha passata per quindici anni, come saldatore, al Cantiere Orlando, in pratica fino alla sua chiusura. Al Cantiere è stato l’animatore del Nucleo aziendale delle Acli, intitolato ad Amerigo Giorgetti (il padre del noto professore), sotto la presidenza provinciale di Giustino Banchetti e con l’entusiastica adesione del Vescovo Mons. Ablondi, che teneva moltissimo al mondo operaio. Da parte di alcuni lavoratori, uomini della sinistra più accesa, Paolo era considerato come “un traditore” ma, in seguito, molti di loro lo vollero espressamente per fare i funerali ai loro cari. Infatti Paolo ebbe prima l’incarico di Cappellano al Cimitero comunale dei Lupi da Mons. Ablondi e, in seguito, di curare il servizio all’Ospedale da parte del Vescovo Mons. Diego Coletti. Diciassette anni di attività continua, e sì che, come egli stesso ci racconta: “avevo sempre avuto il “terrore” dei cimiteri e degli ospedali”.
Qual è stato il tuo cammino per diventare diacono?
Provengo da una famiglia di non osservanti, solo una mia zia andava in chiesa e non era ben vista, anch’io non ci andavo mai. Ci siamo sposati civilmente, ma dopo il matrimonio abbiamo incominciato ad andare a Messa. Dopo un po’ chiedemmo a don Pancaccini di sposarci in Chiesa e il 4 luglio 1981 abbiamo fatto il matrimonio religioso. Da lì è iniziato un cammino di fede e fu lo stesso don Giancarlo ad inserirci, me e mia moglie, nelle attività della parrocchia. A gennaio del 1982 don Giancarlo andò da Mons. Ablondi a chiedergli che io potessi entrare tra i possibili candidati al diaconato. Ricordo che eravamo stati divisi in due gruppi ed io appartenevo al secondo e ci ritrovavamo il sabato pomeriggio nell’approfondire gli argomenti religiosi e i doveri del nostro ministero. Perciò il cammino di fede si è compiuto in me poco alla volta, ed è stato senz’altro don Giancarlo a fare di me un vero diacono, e devo anche a don Massimo Vannozzi se sono riuscito a crescere spiritualmente.
Il diaconato si concilia con la famiglia?
Se non ci fosse stata la mia famiglia non sarei mai diventato diacono. In pratica io e mia moglie abbiamo fatto il cammino insieme. Dopo cinque anni di matrimonio è nato il primo figlio e la nostra unione si è rafforzata ancora di più. Ma non tutto, nel tempo, è filato liscio, come avrei desiderato. Purtroppo una delle mie figlie cominciò a soffrire per la vista e non ci vide più! Il Vescovo Mons. Coletti mi fu vicino con la parola, con l’appoggio morale e anche con l’aiuto finanziario. Così, grazie al suo interessamento, feci il giro degli ospedali, da Parma a Milano. Poi una seconda vicissitudine, anche mia figlia ha avuto cinque figli, ma quella più piccola si è ammalata di una malattia rara che richiedeva e richiede l’andata sovente al Meyer. Ciò nonostante ho sempre continuato l’attività di diacono. Purtroppo anche il mio fisico ne ha risentito e sono cominciate le crisi di panico. Ho resistito. Poi, quasi un miracolo mia figlia ha riacquistato la vista! Mi sono ripreso e oggi non soffro più di crisi di panico, tutto questo grazie a mia moglie Tina, una donna di preghiera che per me ha rappresentato e rappresenta un ancora di salvezza. Ma, sinceramente, dopo trentanni di diaconato penso che devo ancora iniziare ad esserlo veramente!
Un ricordo particolare?
Nel giorno dell’ordinazione trovai in chiesa, Padre Leopoldo Costi, della parrocchia della SS. Trinità, che mi aveva conosciuto molti anni prima. Quando mi vide si mise a ridere e disse: “Oh Signore, non c’è più religione!”.